martedì 12 luglio 2011

John Freely’s Istanbul

di Alessia Delcré




Titolo: John Freely’s Istanbul (La Istanbul di John Freely)
Autore: John Freely
Editore: Scala Publishers Ltd, Londra
Anno di pubblicazione: 2005
Formato: cm 16,5x23,5, brossura
Pagine: 216
Illustrazioni a colori
Lingua: inglese









Passeggiando per Istanbul, si delinea la traccia di una scrittura che sale e scende le alture della città, entra nelle moschee e si ferma a contemplarne i particolari, rivolge qualche parola a un passante e si ingolosisce al pensiero dei dolci locumus.
L’autore propone un libro composto da tanti quadri descrittivi quante sono le zone geografiche di Istanbul: quindici capitoli in tutto, sette colline più i quartieri periferici lungo il Bosforo e dell’area asiatica. Le descrizioni sono intrise di evidente passione per la vita frenetica ma ancora misteriosa della metropoli - Freely frequenta e ama Istanbul da decenni - a cui si coniuga però un’analisi razionale di luoghi, date, personaggi del presente e del passato.
Spesso l’autore confronta la metropoli cosmopolita attuale con quella degli anni ‘60, periodo a cui risale il suo primo approccio alla città turca. Inoltre, egli ama riprenderne le poetiche descrizioni del XVII secolo, uscite dalla penna del cronista Evliya Efendi, come testimonianza dell’immutabilità di alcuni usi e costumi (spesso legati ai dogmi religiosi) e del lento permeare di uno stile occidentale che ne confonde ormai i tratti distintivi.

Definire questo libro una guida turistica sarebbe riduttivo e non appropriato, visto che Freely arricchisce le pagine con proprie riflessioni, si sofferma su personaggi che hanno lasciato la loro impronta tangibile sullo svolgere storico degli eventi, apre parentesi su curiosità e aneddoti per visitare al meglio la metropoli, e non considera per contro le informazioni pratiche di soggiorno che il turista cerca invece nei manuali di viaggio.
Potremmo a tratti considerarlo un diario autobiografico, dato che l’autore ci rende partecipi delle sue sensazioni e dei continui raffronti con la Istanbul del suo passato.
O ancora potremmo considerare questo testo un mosaico pittorico in cui ogni scorcio della città è reso con tante pennellate che non ne esauriscono la conoscenza ma ne lasciano piuttosto un assaggio, un’intima emozione.
Per le particolarità storiche e architettoniche dei numerosi edifici di epoca bizantina e ottomana raffigurati nel libro, l’autore rimanda infatti alla lettura di suoi precedenti volumi, più esaustivi in tal senso (si veda Strolling through Istanbul e Blue Guide Istanbul).
In John Freely’s Istanbul primeggiano invece le impressioni, proprio come in un quadro impressionista in cui i soggetti ritratti sembrano essere stati catturati per errore da uno sguardo distratto. E invece sono la rielaborazione di uno spirito artistico che li conosce fin troppo bene.


Traduzione della quarta di copertina
John Freely conosce Istanbul tanto quanto August Hare - noto scrittore inglese vissuto nel XIX sec. - conosceva Roma.
Per quarantatré anni Freely ha studiato, esplorato, amato e omaggiato la sua città adottiva.
Camminare per le strade, salire su per le colline, visitare le moschee, i palazzi e i resti storici di Istanbul con Freely è apprendere di prima mano la complessa storia della Nuova Roma e della capitale imperiale turca che le succedette. L’autore ne conosce gli angoli più segreti, i personaggi del passato così come del presente, che sa connotare in spazi e tempi ben definiti.
In questo libro Freely esamina di nuovo la storia, la gente, le tradizioni e gli aromi della città a cui è stato così intimamente legato per quasi mezzo secolo, annotandone i cambiamenti insieme all’immutabilità del suo spirito e del suo carattere.
Ampliamente illustrato, con fotografie d’attualità e materiale storico riordinato, proveniente da archivi remoti, John Freely’s Istanbul è la confluenza di passione e sapere del più grande biografo moderno di questa città.

Nato a New York nel 1926, John Freely è stato professore di fisica a Istanbul fino al 1960, quando iniziò a esplorare la città passeggiando a piedi con moglie, figli e amici. A poco a poco il suo hobby diventò passione. Il suo primo libro, Strolling through Istanbul (Gironzolando per Istanbul) - scritto insieme a Hilary Sumner-Boyd - venne pubblicato nel 1972 e gli permise di affermarsi come classico del genere. Seguì la pubblicazione di altri 30 libri sulla storia e topografia della città.

lunedì 4 luglio 2011

Istanbul, sotto il velo la magnificenza

di Alessia Delcré

Istanbul, vivace metropoli con un ricco bagaglio storico, punto di incontro tra Oriente e Occidente, si presentava nel mio immaginario come una città magica, anche se la presenza di una religiosità così radicata come quella islamica creava veli di diffidenza che faticavo a sollevare.


L’arrivo all’aeroporto internazionale Sabiha Gökçen a Pendik/Kurtköy, sulla sponda asiatica, è una piacevole sorpresa: ordinato, moderno, l’aeroporto è dotato di apparecchiature di controllo sofisticate. Il tempo che accoglie me e i miei compagni di viaggio - siamo a metà marzo - è altrettanto inaspettato: nevica. Un autista ci attende all’uscita per accompagnarci in hotel, situato nel quartiere di Sultanahmet, cuore storico della città. Durante il trasferimento catturiamo incuriositi i primi scenari che sfilano ai nostri sguardi. Strade ampie, caselli autostradali, automobili molto simili a quelle europee, e sullo sfondo nuclei di città fatti di palazzi, zone boschive, luci che punteggiano la sera.
La neve continua a cadere, ma i fiocchi diventano mano a mano più radi fino a perdersi nel blu della notte. L’autista è silenzioso, noi turisti invece molto rumorosi per l’eccitazione di questo viaggio.
Superiamo due ponti, attraversando prima il Bosforo e poi il Corno d’Oro. Il traffico diventa più intenso, gli edifici assumono connotati storico-architettonici più definiti. Le prime moschee svettano sullo sky-line della città con i loro minareti. Da queste alte colonne a punta viene diffuso cinque volte al giorno l’adhan, il richiamo alla preghiera, da un muaddin, persona scelta per le sue qualità vocali e soprattutto morali. Lo sperimentiamo di persona la mattina seguente, quando verso le 5.00 lo sentiamo chiaramente dalla nostra camera d’hotel; è un buon inizio per immergersi nel clima del posto.
La fede islamica è molto sentita e praticata a Istanbul, e la presenza di decine di moschee attive disseminate in tutta la metropoli testimonia l’intensità della professione religiosa. La visita alle moschee è senz’altro uno degli aspetti più interessanti della città. L’accesso è in genere consentito anche ai non credenti, nel rispetto degli orari di preghiera e di alcune norme comportamentali.



Nel silenzio è più facile lasciarsi condurre dalle proprie sensazioni intime e saper apprezzare elementi architettonici tanto aggraziati. I colori vivaci e i motivi floreali e calligrafici delle piastrelle islamiche sono messi in risalto da costellazioni di lanterne, che paiono invitare le singole spiritualità ad adunarsi in preghiera. Nelle moschee si prega seduti o in ginocchio su vasti tappeti, il corpo e lo sguardo protesi in direzione della Mecca, come prescritto dal Corano.
In origine, quando Maometto confidava di riuscire a convertire all’islam la comunità ebraica, il profeta aveva prescritto di volgersi a Gerusalemme; la mancata risposta di quest’ultima, tuttavia, modificò la direzione della preghiera, e La Mecca, luogo frequentato dai Pagani, diventò il nuovo punto di riferimento. (1)
Mi perdo a osservare con quale raccoglimento i fedeli, pur nel via-vai turistico, siano assorti nella preghiera. Si tratta comunque sempre di uomini: alle donne non è permesso pregare nelle aree centrali e soprattutto unirsi al gruppo degli uomini. Le si vedono radunate in disparte, dietro a cancellate ai lati delle sale, il capo chino coperto da veli colorati, silenziose e umili nella loro sottomissione.
La separazione dei sessi è riscontrabile in ogni ambito della vita sociale. I bar e i locali di ritrovo sono frequentati solo da uomini, e per strada le donne formano gruppi che ben si distanziano dalle chiacchiere maschili. Il ruolo che la società islamica impone al gentil sesso è confinato all’interno delle mura domestiche, ma la donna è comunque il fulcro della vita famigliare, non solo perché in prima linea nella conduzione della casa ma in quanto responsabile della crescita dei figli e confidente di tutti i membri della famiglia. Uno status, questo, stabilito fin dall’epoca ottomana, quando figure femminili di spicco influivano da dietro le quinte sulle decisioni politiche e amministrative dei sultani, pur restando confinate nel mondo ovattato dell’harem. Basti pensare che erano le madri dei sultani a scegliere le concubine e a permettere o meno a queste ultime la scalata sociale per diventarne le predilette. (2)

La moschea più conosciuta e penso anche la più affascinante è quella di Sultan Ahmet, ordinata dal sultano Ahmet I (1603-1617), meglio nota come La Moschea Blu, per via delle migliaia di piastrelle blu presenti al suo interno.
Per grandiosità e bellezza essa rivaleggia con la vicina basilica di Aya Sofya, fatta costruire dall’imperatore Giustiniano (527-565) come edificio di culto cristiano. In seguito trasformata in moschea, è oggi visitabile come museo.
Altri imperdibili tappe turistiche restano la Cisterna Basilica, antico acquedotto bizantino completamente sotterraneo, opera anch’esso di Giustiniano (532) e il Palazzo Topkapi, iniziato a costruire nel 1453 su ordine di Mehmet il Conquistatore, poi dimora di numerosi sultani fino al XIX secolo, oggi museo con collezioni pregiate di antiche vesti dei sultani, armature e tesori regali.
Queste e numerose altre costruzioni di rilievo fanno di Istanbul un bazar storico e culturale vivo, che si svela ad ogni angolo di strada.



Una visita a piedi su e giù per le colline di Istanbul vale la pena anche per entrare in contatto con la gente e le sue tradizioni, ancora ben radicate nonostante l’occhio sia voltato verso la modernità. La metropoli turca è stata scelta nel 2010 come una delle capitali europee della cultura, e questo evento di pregio le ha dato la spinta per rinnovarsi e restaurare importanti monumenti altrimenti destinati alla rovina.
Oggi la vita culturale è molto vivace, grazie alla continua inaugurazione di mostre, musei, programmi di feste e manifestazioni in tutto l’arco dell’anno. Dal 2005 sono in corso anche i negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea. Intanto, la coinvolgente energia della città continua a farsi sentire. La si evince nelle fiumane di cittadini e turisti che riempiono le strade. Nei colori, profumi e forme invitanti di dolciumi, cumuli di spezie e altre prelibatezze gastronomiche in bella mostra nei carretti ambulanti o dietro le vetrine. Negli attraenti oggetti di un ricco artigianato locale - tappeti, ceramiche, tessuti, lampade... - che mostra cura per il dettaglio e sapiente continuità della tradizione. Nelle multiple attività economiche in prevalenza commerciali, a volte anche bizzarre o introvabili nella società capitalista europea, che danno l’idea di una popolazione che non si scoraggia di fronte alla pesantezza o all’umiltà di certe professioni. Nella grande attenzione infine per l’aspetto religioso delle nostre esistenze, sempre alla ricerca di una fede a cui ancorarci saldamente, ma che spesso si fa fatica a trovare.






NOTE E RIF. BIBL.:
(1) Centro Studi sull’Ecumenismo, Cultura, cività e teologia nell’islam, a cura di Alessandro Gamba, Marinetti, Torino 2003
(2) L’altra metà della luna. Capire l’islam contemporaneo, a cura di Laura Cabria Ajmar e Marina Calloni, Marinetti, Torino 1993