mercoledì 26 ottobre 2011

The Rugged Road (Il viaggio accidentato)

di Francesca Desiderio



Titolo: The Rugged Road (Il viaggio accidentato)
Autrice: Theresa Wallach, a cura di Barry M. Jones
Editore: Panther Publishing Ltd
Anno di pubblicazione: 2011 (seconda edizione)
Formato: cm 15,5x23,5 brossura
Pagine: 175
Lingua: inglese


Sul finire del 1934, due donne inglesi esperte di ciclomotori hanno l’idea di raggiungere il Sudafrica in motocicletta, e così, dopo aver trovato sponsorizzazioni e aver informato le autorità, partono da Londra in sidecar per attraversare l’Africa e raggiungere Città del Capo. Le due sono messe in guardia da chiunque incontrino nel lungo viaggio, in Europa e in Africa stessa. Il continente africano è colonia europea, la cartografia di alcuni suoi territori è ancora incompleta, imperversano malaria ed epidemie e le vie del deserto e dell’Africa nera sono ancora scarsamente battute. Inoltre, due donne sole, per di più a bordo di un mezzo a due ruote, di rado si cimentano in imprese sportive ed esplorative insieme.
Eppure, Theresa Wallach e Florence Blenkiron raggiungono Città del Capo nel luglio 1935, dopo 9 mesi e 14 mila miglia di viaggio nel deserto ostile, nell’umida giungla, nella terra dei leoni e nelle pericolose savane, dopo guasti al sidecar e difficoltà nel riconoscere i tracciati, ma sempre benvolute e accolte in cittadine, avamposti coloniali, missioni religiose e villaggi di nativi.
Il libro è il resoconto scritto da Theresa Wallach, che dedica spazio alla descrizione dell’avventura ma anche dei luoghi e delle popolazioni incontrate, dei guasti alla motocicletta e dei sentimenti provati. La narrazione non indulge nello sconforto che spesso deve aver complicato l'impresa, ma non si abbandona nemmeno al vanto, all’ostentazione del coraggio. Mette in luce il grande senso pratico delle due donne, capaci di metter mano al motore e alle parti meccaniche del mezzo (per esempio nel deserto, dove in caso di bisogno possono confidare solo nel contratto di recupero con la società algerina di trasporti locali), la curiosità della loro indole vagabonda (che le fa attardare sulla via verso la meta per fermarsi e godere di ospitalità e vita locale), la capacità di sdrammatizzare (a proposito delle scorte di cibo o di uno scontro con l’unica auto incontrata) e la voglia di arrivare a destinazione. Theresa accenna anche al contesto sociale e geo-politico del tempo, quando molte colonie africane si chiamano ancora Tanganica (oggi Tanzania), Rhodesia (oggi Zambia, a settentrione, e Zimbabwe, in meridione), Unione del Sud Africa (oggi Repubblica del Sudafrica), quando le missioni sono ancora l’unica presenza europea nel cuore dell’Africa nera e rade famiglie di inglesi e tedeschi popolano le fattorie dell’Africa orientale, nell’emisfero australe.
Il linguaggio di Theresa è diretto, le descrizioni essenziali. La coraggiosa centaura, nell’occasione anche reporter, non si abbandona a lirismi, limita le descrizioni degli stati d’animo e si concentra sulle ambientazioni e sui rapporti con le persone.
Al termine del libro, il curatore Barry Jones aggiunge due appendici, la prima dedicata al viaggio di ritorno in Inghilterra di Theresa e Florence, e la seconda alle biografie delle due donne, estroversa e intraprendente Theresa quanto chiusa e poco comunicativa Florence, che dopo quell'avventura si divisero senza più ritrovarsi.

Traduzione della quarta di copertina
Da Londra a Città del Capo a bordo di una motocicletta e sidecar della Panther, con un rimorchio. Senza strade tracciate né aiuti, attraverso il Sahara e l’Africa equatoriale, fino al Sudafrica, nel 1935, senza nemmeno un compasso! E'il viaggio in motocicletta più sorprendente che sia mai stato raccontato e una rivelazione per il viaggiatore odierno.
Impavide nonostante l’incontro con nomadi, tempeste di sabbia, calura, pioggia, fiumi da attraversare, guasti e questioni burocratiche, Theresa Wallach e Florence Blenkiron compirono un viaggio che potrebbe benissimo ridurre a pezzi un motore moderno. Da un’oasi all’altra strappando alla Legione straniera francese il permesso di proseguire; improvvisando un traino per il rimorchio rottosi nel deserto; ricostruendo il motore ad Agadez; avvistando gorilla, leoni e serpenti sulla strada; fermandosi in villaggi di nativi e incontrando una straordinaria varietà di persone amichevoli e disponibili. Per non parlare dello scontro in Tanganica (oggi Tanzania) con l’unica auto incrociata dopo giorni.
Il libro è il resoconto della grande avventura di due donne che hanno dovuto anche superare pregiudizi e difficoltà del proprio tempo, nonché i limiti fisici che complicano l’attraversamento del Sahara e dell’intera Africa in tutta la sua lunghezza (7500 miglia). Una lettura d’obbligo per qualunque centauro o appassionato di motori, soprattutto donne. E gli appassionati di viaggi e avventure non trascurino che questo è stato il primo viaggio compiuto attraverso l’Africa in motocicletta, da Nord a Sud del continente. Semplicemente, una storia eccezionale!
Questa seconda edizione è arricchita da fotografie inedite e dettagli sulla vita di Theresa dopo la sua epica avventura.

Kenya. Scorci di natura e società

di Francesca Desiderio

A sud del Paese, all'altezza dell’Equatore, l’essenza dell’Africa selvaggia abita i parchi e le riserve naturali.
I Big Five (elefante, rinoceronte, bufalo, leone e leopardo), le prede più ambite dalla fotocamera del turista, popolano le praterie sconfinate del Masai Mara, collinose, verdi e macchiate da arbusti e acacie, umide e piovose nella stagione di passaggio tra l’inverno e l’estate; oppure l’Amboseli arido e polveroso, a valle del Kilimangiaro, con pozze d’acqua improvvise in cui vivono pitoni e sguazzano ippopotami ed elefanti. Aquile, pellicani, fenicotteri, aironi e giganteschi marabù affollano aree lacustri come il lago Nakuru. Furbi cercopitechi e babbuini urlatori si avvicinano ai lodge e ai campi tendati in cerca di facile cibo. Tutti timidi o abituati ai veicoli che portano persone, pur sempre selvaggi e temibili, aggressivi e meravigliosi. Da ammirare a debita distanza. Veloci nella corsa e nell’istinto, durante il giorno pascolano sparsi e disseminati, quasi stanchi e annoiati. Ogni tanto uno spostamento in massa di gnu e zebre, un leone in corsa. Una famiglia di leoni riposa all’ombra di arbusti. Il ghepardo solitario vigila sul territorio, lo sciacallo e la iena stanno all’erta fiutando scenari di caccia. Al crepuscolo e la sera si alzano le zanzare; la sera, i versi di volatili e di scimmie. Al risveglio, l’ululato delle iene appena fuori dal lodge fa gelare il sangue. E la luce del giorno, una volta dissoltasi l’umidità notturna, rassicura della pace circostante in questo deserto di vita.



Albe e tramonti di cielo fuoco, colline rocciose, terra ferrosa rossa e nera di origine vulcanica e fronde verdi allo Tsavo, dove le urla acute dei babbuini lacerano un silenzio vastissimo. Un leopardo attraversa un sentiero, forse a caccia, ma ha l’aria stanca. In meno di un quarto d’ora il sole tramonta accendendo l’azzurro del cielo sopra l’arancio del sole e il rosso ferro della ferra. Le strade sterrate e polverose si fanno pericolose nel buio che scende veloce. Nell’oscurità, a versi e grida non corrispondono più musi e ci si affretta a ripartire.
Al di fuori dei parchi, la popolazione vive in villaggi sparsi, in abitazioni in lamiera o mattoni o fango lungo le poche strade che collegano le città principali, Nairobi, Mombasa, Nakuru, Malindi. Commerci di prodotti della terra, soprattutto, ovunque si vada. E terra, polvere, animali. Come se si vivesse alla giornata. Campi coltivati interrotti da baobab, da distese desertiche, dove ogni tanto pascolano animali domati da allevatori. Bimbi in divisa e rigorosamente rapati corrono verso bassi edifici in muratura: le scuole. Donne dai colori sgargianti portano pesi sulla testa, uomini in bicicletta si assembrano lungo le strade, dove si susseguono ravvicinati bar, farmacie, officine meccaniche, hotel, tutti uguali e indistinti, tutti come resti di abitazioni, con insegne dipinte sui muri, dove gli spiazzi antistanti non sono che polvere ed escrementi di animali.
Lamu, isola a nord di Mombasa e fuori dalle rotte turistiche più scontate, è l’incontro tra cultura swahili e cultura araba. Il kenioti lo considerano un paradiso. Qui si pesca e si traghettano gli stranieri in visita, non si coltiva e non si alleva. Segni forti di un’occupazione arabo-islamica sono i burqa indossati dalle donne di colore, i vicoletti e le abitazioni coi loro androni come patii e i loro portoni pesanti. Ma la convivenza con i kenioti cristiani è pacifica, a differenza di Mombasa. Si veste all’occidentale o con lunghe tuniche arabe, si venera il Dio cristiano o Allah.



Vecchie case coloniali inglesi si affacciano sulla banchina, dove barche di legno, dall’aspetto precario, sono lasciate alla mercé delle maree. Le poche strade lastricate e le case in fango, sabbia e scheletri di corallo ospitano i ricchi del posto. Poco contano gli scarichi fognari a cielo aperto che corrono ai lati delle stradine strette o gli escrementi di asino. Feci, rifiuti, avanzi di cibo, scarafaggi e terra e si cammina anche a piedi nudi, ma con passo deciso e sguardo fiero. Sorrisi e strette di mano sono allungati ai pochi turisti bianchi, oppure si riserva loro indifferenza, nella preoccupazione per i propri affari. Mercato di frutta, cereali e legumi in compagnia di insetti e sporcizia, nei banchetti di legno e cenci. Stracci, paglia, tanfi e miasmi accentuati dal calore del giorno provocano repulsione. Ma tutto è pacifico. Ti diranno sempre pole pole (con calma) e hakuna matata (non c’è problema), con una cordialità sempre rispettosa, non invadente e mai insistente.
Poco distante, la spiaggia deserta Shela, alle cui spalle sta il paese più ricco, con case di europei benestanti in architettura locale: alte mura dalle linee verticali, nessuna decorazione e bianco brillante dei coralli usati come mattoni. Di fronte, l’isola di Manda, protetta da barriere di mangrovie.
Fieri di questa ricchezza e di questa pace, a Lamu ti serviranno e ti congederanno col sorriso. Ti dispiacerà partire e lasciare bagni scrostati e rubinetti arrugginiti, zanzariere bucate e strette di mano a chiunque te le porga. Lascerai qui la consapevolezza dei problemi concreti della vita, per quanto gli abitanti di Lamu di problemi non ne vedano. I kenioti, gente dignitosa e fiera del proprio Paese.

Da alcune settimane l’arcipelago di Lamu è sconsigliato ai viaggiatori dai Ministeri degli Esteri d’Europa a causa della vicinanza con il confine somalo e delle crescenti incursioni di rapitori somali (si ricordano quelle dell’11 settembre e del 1° ottobre scorsi). La polizia keniota si sta mobilitando per cercare di risolvere la situazione, contrastando le milizie dell’insorgenza islamista note come Al Shabaab, che rischiano di compromettere la vita pacifica della zona.

Guerrieri Masai

di Francesca Desiderio



In Kenya sopravvivono ancora tribù dalle forti tradizioni, abituate a vivere in piccole comunità, in condizioni semi-primitive eppure orgogliose della propria cultura, al riparo dai condizionamenti della civiltà occidentale.
Nel cuore del Masai Mara, la riserva naturale al confine con la Tanzania, vive il popolo che le dà il nome, i Masai, disseminati in piccoli villaggi nelle regioni più isolate e pericolose del Paese. Per difendersi dai leoni e dalle fiere più minacciose, i Masai costruiscono i loro villaggi circolari cingendoli di una fitta staccionata di tronchi e rami. Le case sono disposte attorno a uno spiazzo di terra ed escrementi di bovini. Case di fango essiccato e paglia sopra i tetti, al loro interno una o due stanzine buie dove ristagna il fumo prodotto dal fuoco, e donne sedute in quel buio ad accudire bambini. Vestono acconciandosi addosso foulard rossi o arancioni, a righe o a quadri, per spaventare gli animali selvatici, e indossano sandali ricavati dagli pneumatici abbandonati, ritagliati e cuciti ad arte. Portano collane, collari, bracciali, orecchini e piercing alle orecchie per allargare a dismisura i fori che si praticano.
E’ una fortuna aver incontrato un giovane, come quasi tutti, capace di parlare inglese e illustrarci il loro stile di vita. Il governo ha costruito scuole per incoraggiare l’istruzione; già oggi i Masai vivono a contatto con i kenioti “moderni”, lavorando per il turismo e facendosi portavoce di una cultura diversa sebbene autoctona, sperando in mance da investire nella propria piccola comunità.
Allevano mucche, di cui bevono il latte e il sangue, e ne utilizzano le pelli. Si tramandano una forte divisione dei ruoli: alle donne spetta la cura di casa e figli, la raccolta dell’acqua dalle fonti e di radici di cui cibarsi; agli uomini spetta la guardia al villaggio, la dimostrazione di coraggio all’incontro con un leone minaccioso, quindi la ricompensa del matrimonio in caso di uccisione del grosso felino. Questo spiega l’attributo di “guerrieri” con cui sono conosciuti questi giovani uomini, esili ed alti, che si aggirano cingendo sempre bastoni di legno, da bravi pastori ed esperti combattenti.
I matrimoni sono combinati o comunque decisi dall’uomo, che può scegliere la poligamia e introdurre nella propria comunità una donna di una tribù vicina. Serve però un buon numero di mucche per barattare la prescelta. Tante più mucche e figli si possiedono, tanto più si sale nella scala sociale. Per dimostrare la propria prestanza fisica gli uomini si esercitano nel salto da fermi e accolgono i visitatori con una danza fatta di salti, urla e versi che ritmano i movimenti; la donna è invece accolta tra le altre con un canto e una danza composta di pochi passi e battiti di mano.
I Masai producono oggetti con perline e fili di metallo, incidono il legno e vendono i loro prodotti ai turisti per acquistare abiti e materiale per creare nuovi manufatti. L’ammirazione per un popolo capace di trovare mezzi di sussistenza in modo autonomo si smorza quando mi spiegano le pratiche di “passaggio” alla vita adulta: circoncisione per il giovane diciottenne, con pubblico disprezzo, disonore e allontanamento dalla comunità in caso di pianto, e infibulazione per le bambine, con conseguente possibilità di essere prese in moglie… Il governo keniota sta tentando di sensibilizzare i Masai affinché abbandonino questa barbara tradizione, ma mi spiegano che se le donne non “maturano” in questo modo non saranno mai prese in moglie. Labile confine tra tradizione e ignoranza…
Mi mostrano la pratica di accensione del fuoco, strofinando due legnetti; mi parlano della loro divinità, Engai, che governa gli eventi naturali. Non offrono cibo o bevande; hanno così poco per sé, data la stagione secca in cui li visito, da non poterne condividere.
Questi sono i Masai, isolati dal resto del mondo eppure, all’occorrenza, integrati e consapevoli della propria diversità, ma mai per questo, ovunque ne abbia rincontrati in Kenya – nei paesi o nei villaggi periferici – a disagio tra gli altri.

venerdì 14 ottobre 2011

Parois de légende

di Alessia Delcré



Titolo: Parois de légende (Pareti leggendarie)
Autori: Stéphanie Bodet e Arnaud Petit
Editore: Glénat, Grenoble
Anno di pubblicazione: 2011
Formato: cm 14x23, brossura
Pagine: 240
Illustrazioni a colori (fotografie e mappe)
Lingua: francese













Il libro presenta vie di arrampicata di varie lunghezze e diversi gradi di difficoltà, disseminate in scenari naturali di incomparabile bellezza. Scalate moderne - attrezzate al massimo dal punto di vista tecnico - si alternano a scalate storiche - da ripercorrere per capire le vicissitudini dei popoli e delle loro terre - e naturalistiche allo stato puro - da cui spiccano le doti dei grandi scalatori.
Nella sezione iniziale, gli autori tracciano rapidamente l'abc dell'arrampicata: i diversi tipi di roccia, il materiale tecnico e personale da portarsi in scalata, i gradi di difficoltà riscontrabili... e ancora come intuire l'itinerario più appropriato, cosa fare in caso di infortunio, come valutare le condizioni meteorologiche ottimali.
Seguono 78 siti di scalata, ramificati spesso in proposte multiple, descritti in maniera schematica ma esaustiva. Per ogni percorso vengono date le coordinate, l'altitudine e il grado di difficoltà. Seguono indicazioni sulla stagione e sugli orari migliori per affrontare la scalata, il punto di partenza e di arrivo, la via per scendere, oltre a qualche curiosità storica. Il tutto in una scheda di rapida lettura, mentre una parte discorsiva illustra il merito di ogni via descritta.
Le immagini, oltre ai dati tecnici, giocano un ruolo importante per ogni scheda: le fotografie sono seducenti per chiunque ami la natura e le alte quote, e le topografie a piena pagina chiare e dettagliate.

Sommario delle scalate
ITALIA
Dolomiti: Cima Grande di Lavaredo, Cima della Madonna, Marmolada, Campanile Basso
Sardegna: Punta Girardili, Gola di su Gorroppu

SVIZZERA
WendenstocK: Pfaffenhuet, Reisend Nollen
Obeland: Eiger
Alpi Bernoises, Grimsel: Eldorado

FRANCIA
Massiccio del Monte Bianco: Aiguille du Midi, Grand Capucin, Tour Verte, Première pointe des Nantillons, Aiguille de Roc, Pilier Rouge de Blaitière, Aiguille du Moine
Oisans: Aiguille Dibona, Tête du Rouget
Dévoluy: Gillardes, Pic de Bure
Verdon: Escalès, Grand Eycharme, Paroi du Duc
Aiglun: Paroi du Giet, Paroi Dérobée
Calanques: Plateau de Castelvieil, Devenson, Grande Candelle
Pirenei: Petite Aiguille d'Ansabère, Grand Pic du Midi d'Ossau
Corsica, Aiguille de Bavella: Punta d'u Corbu

SPAGNA
Ordesa: Tozal del Mallo, Gallinero
Mallos de Riglos: La Visera, El Pison, El Puro
Picos de Europa: Naranjo de Bulnes

MAROCCO
Taghia: Taoujdad, Oujdad, Tadrarate

ALGERIA
Hoggar: Tezoulag sud, Garet El Djenoun, Hoggar, Tesnou

MALI
Hombori: Wanderdu, Kaga Tondo, Suri Tondo

NAMIBIA
Spitzkoppe

MADAGASCAR
Andrigitra: Karambony, Tsaranoro

GIORDANIA
Wadi Rum: Hammad's Done, Barrah Canyon, Nassrani Nord, Djebel Rum

TURCHIA
Dedegöl: Parete centrale, Tour Rouge

CANADA
Squamish: The Chief
Logan Mountains: Fiori di Loto

USA
Fischer Towers: Ancien Art
Canyonlands: Moses Tower
Yosemite: Higher Cathedral Rock, Royal Arches, Half Dome, El Capitan, Washington Column, Fairview Dome, Medlicott Dome

MESSICO
Basaseachic: El Gigante

BRASILE
Rio de Janeiro: Pane di Zucchero, Corcovado
Tres Picos: Pic Maior

CHILI
Torri del Paine: Torre Centrale del Paine

PAKISTAN
Karakoram: Torre di Trango

VENEZUELA
Gran Sabana: Salto Angel

Difficile non farsi contagiare dalla voglia di partire con lo zaino carico di moschettoni e voglia di avventura...



Traduzione della quarta di copertina
Campioni del mondo di scalata nel 1999 e prima nel 1996, Stéphanie Bodet e Arnaud Petit formano da più di 15 anni una cordata nella vita e sulle cime. Scalatori eccezionali, condividono il gusto per i grandi spazi naturali e gli incontri con altre culture, e scalano insieme le pareti di tutto il mondo.
Da questa esperienza fuori dal comune è nata quest'opera, che presenta le pareti più belle, più grandi, più mitiche... quelle che fanno sognare tutti gli scalatori e gli appassionati di paesaggi maestosi.
Alcuni tra questi universi minerali sono famosi: il granito perfetto del Monte Bianco e dello Yosemite, la roccia calcarea liscia del Verdon e del Marocco, i Pani di Zucchero di Rio de Janeiro e delle Dolomiti, le Torri del Paine in Patagonia e del Trango sull'Himalaya... Altri formano sculture di una bellezza incredibile, come gli organi basaltici del Sahara e i gres della Giordania.
Gli autori ci svelano qualche rivelazione, tra cui lo Spitzkoppe in Namibia, El Gigante in Messico e il Dedegöl in Turchia.
Le big walls, questi grandi muri che richiedono a volte diversi giorni di sforzi, si alternano a numerose vie che restano accessibili alla media degli scalatori.
Le foto e le topografie dettagliate (sono descritte più di 100 vie) permettono al lettore di proiettarsi in questo mondo a parte, prima di passare dal sogno alla realtà.

Stéphanie e Arnaud sono arrampicatori professionisti, consulenti tecnico-sportivi e tengono inoltre conferenze in tema.
Stéphanie, laureata in Lettere Moderne, è l'autrice di Salto Angel (edito anche in italiano, n.d.t.), racconto della loro spedizione più importante in Venezuela, punta di diamante anche di questo libro.
Arnaud, laureando in Fisica, è anche lui guida di alta montagna, e fotografo. Le sue riproduzioni sono state pubblicate sulle riviste di tutto il mondo e le sue mappe sono celebri per la loro precisione.