giovedì 2 giugno 2011

Boldini e la Belle Époque. Villa Olmo, Como (26 marzo-24 luglio 2011)

di Francesca Desiderio



Giovanni Boldini, Camicetta di voile (1906)

La Belle Époque, ripensata con nostalgia dopo il 1919 per il benessere, la stabilità politica e gli sviluppi economico-scientifici, furono “bei tempi” di pace sociale durati circa quarant’anni. Grazie ai progressi scientifici si sconfiggeva la mortalità infantile, si debellavano malattie, si semplificavano le condizioni di vita, si viaggiava più facilmente, si usufruiva sempre più di spettacoli teatrali e concerti, diventarono di gran moda esposizioni universali e ritrovi nei caffè, manifestazioni sportive o ricreative all’aperto, nonostante, dietro al velo dorato della diffusa mondanità, si celassero forti differenze sociali. I soli fruitori di tanta abbondanza erano i ceti borghesi in ascesa economica e in cerca di affermazione.
Il pittore Giovanni Boldini e la Belle Époque finirono con il convergere. Boldini crebbe in pieno spirito dei tempi, tanto da diventarne il pittore ufficiale. Avvicinatosi in origine ai Macchiaioli toscani, lasciò l’Italia per cercare nuova patria a Parigi, fulcro della modernità di fine Ottocento. Parigi viveva all’epoca una rinascita urbanistica – grazie alla ristrutturazione urbana di Haussmann e al proliferare di caffè, teatri, sale concerto, luoghi di aggregazione della società borghese emergente. Parigi attraeva artisti da tutta Europa e rifletteva lo spirito di una società vogliosa di mondanità.
Boldini incarnò lo spirito dei “bei tempi” nella sete di affermazione sociale, quindi artistica: penalizzato da un aspetto poco aitante, e nato in una famiglia povera del ferrarese, cercò di farsi strada nel bel mondo facendo proprio quello stile di vita modaiolo, disinibito e arrivista che impregnava gli ambienti della borghesia, dai salotti ai caffè.
Grazie al legame con il mercante d’arte Goupil, Boldini conobbe personaggi illustri, non solo artisti con cui condividere esperienze ma anche conti, marchesi e, soprattutto, dame dell’alta società. Di queste ultime colse la volontà di offrire una immagine di sé slegata dai vecchi stereotipi: Boldini sapeva ritrarre il gesto della donna, la flessuosità del suo corpo, lo sguardo ammaliatore e ammiccante, cogliendo la voglia di autodeterminazione e di emancipazione. La donna di fine Ottocento si disfa dei bustini e delle stecche di balena, piace a se stessa nella sua spontaneità seducente e si lascia ritrarre in pose ambigue, dai vaghi richiami erotici. Il mito della femme fatale è reso da Boldini alla perfezione, tanto che non si contavano le dame che desideravano un ritratto da lui: la marchesa Luisa Casati, la modella amante Berthe, Emiliana Concha de Ossa, Madame de Joss, Mademoiselle de Nemidoff, Rita Philip Lydig, solo per citarne alcune.
Boldini ritrasse anche ambienti interni ed esterni, comunque urbani, e artisti in pose spontanee quasi fossero fotografie istantanee.
I tratti distintivi della pittura di Boldini si formarono a inizio Novecento, quando cominciò a semplificare il dettaglio – l’abito, lo sfondo, gli oggetti – per valorizzare il viso e riprodurre con veloci e guizzanti pennellate, le cosiddette “sciabolate”, voile, piume, scialli, capelli. Il suo tocco divenne inconfondibile. In pieno spirito modernista, si identificò alla perfezione con l’anelito alla velocità e al dinamismo. Riprendendo la lezione della fotografia, Boldini si concentrò infatti sul movimento, sulla traiettoria del gesto, tanto che le sue figure appaiono tutto fuorché statiche. La scelta del gessetto per molti disegni e ritratti sembra aver facilitato il passaggio verso il movimento e lo sfumato.
Come sintesi di tale riflessione, valgano su tutti due dipinti magnetici: La camicetta di voile (1906) e Busto di giovane sdraiata (ca. 1912).
A impreziosire la mostra nell’aristocratica Villa Olmo sono anche le sale di apertura e chiusura dell’esposizione, dedicate rispettivamente a opere di De Nittis – nei cui personaggi in esterni si scorge già una semplificazione della pennellata e l’importanza degli ambienti urbani di fine secolo – di Zandomeneghi e di Corcos, artisti a loro volta influenzati dall’atmosfera artistica e sociale della Parigi fin de siècle.