di Alessia Delcré
“L’Arte è contemplazione. È il piacere dello spirito che penetra la natura e che v’intuisce lo spirito da cui essa è animata. È la gioia dell’intelligenza che vede chiaro nell’universo e lo ricrea illuminandolo di coscienza. L’Arte è la più sublime missione dell’uomo, poiché è l’esercizio del pensiero che tenta di capire il mondo e di farlo capire”. (1)
Auguste Rodin non è stato solo un grande artista, ma un profondo conoscitore dell’animo umano e un appassionato studioso di storia dell’arte, di cui ammirava in particolar modo i Classici e Michelangelo.
Convinto che la natura, in quanto maestra suprema, andasse contemplata e imitata (alla maniera dei Classici), rifuggiva però da una fredda copia del reale per impregnarlo delle emozioni, dello spirito e di quel bagaglio di esperienze che ogni individuo porta con sé. Ogni suo soggetto scultoreo, ritratto in un preciso effetto di movimento, non è solo il frutto di uno studio anatomico minuzioso, ma è animato da un pathos che lo fa vibrare, supera la materia e diviene portavoce di un messaggio universale. È una visione spesso tragica, come se lo spirito soffrisse incatenato al corpo che lo trattiene. Si genera quindi nell’osservatore uno strano disagio nel percepire una dicotomia tra la forza dei personaggi e una posa di inquietudine o malessere, specchio della loro reale condizione. Così succede ad esempio per i Borghesi di Calais, gruppo scultoreo che mette in scena la motivazione sofferta di sei uomini che avanzano inesorabilmente verso un destino tragico di auto-sacrificio. Per Il Pensatore, il cui corpo atletico e forte è contratto e schiacciato dallo sforzo del pensiero, non libero di abbracciare l’assoluto. Per lo stesso Bacio, raffigurazione dolce e romantica, in cui la frenesia dei corpi esprime l’ansietà di un’unione eterna impossibile.
Borghesi di Calais di Auguste Rodin (1884-1886)
L’arte è per Rodin “il bello”, includendo in questo concetto ogni cosa che susciti un sentimento. Non solo le figure aggraziate e gioiose sono quindi fonte d’ispirazione, ma anche quelle che evocano bruttezza, dolore, tragicità: tutto ciò che si trova in natura può diventare oggetto di rappresentazione, se l’artista vi coglie del “carattere”. Questo è, secondo Rodin, “la verità profonda di uno spettacolo qualsiasi, bello o brutto che sia. [...] È l’anima, il sentimento, l’idea, che esprimono i tratti di un essere umano.”
“È soltanto la potenza del carattere che fa la bellezza dell’Arte” afferma quindi l’artista; al contrario “è brutto in Arte quel che è falso, quel che è artificiale, quel che cerca di essere grazioso o bello invece di essere espressivo, [...] tutto quel che è senz’anima e senza verità, tutto quel che è solo sfoggio di bellezza o di grazia, tutto quel che mente”. (2)
Una rappresentazione significativa ne è la scultura La bella Elmiera.
L’artista è stato spesso accusato a suo tempo di “trasfigurare la natura”, di non creare raffigurazioni reali. Il suo Balzac, commissionato dalla Société des Gens de Lettres, è stato infatti rifiutato da quest’ultima in quanto non conforme agli stili accademici. Eppure Rodin si è sempre difeso asserendo di essere lui stesso un sostenitore della verità in arte.
Tale malinteso di fondo, causa di un’errata considerazione delle sue opere da parte dei contemporanei, risiede proprio nella definizione, o meglio nell’interpretazione, della “verità”. Se i realisti ritenevano che la copia dal vero dovesse riprodurre fedelmente un modello, senza lasciar trapelare nessun fremito dei muscoli, nessun moto dell’animo, insomma alcun sentimento, Rodin era di parere opposto. La sua “verità” nell’arte aveva invece come fine ultimo la ricerca dello spirito. Poco importava se un dettaglio di superficie non risultasse copia esatta del modello. L’importante era per lui l’effetto d’insieme, e questo doveva comunicare la densità di una vita che abita un corpo e che attraverso esso esprime i suoi stati più intimi.
Influenze di Camille Claudel (3)
Camille Claudel, artista precoce e tenace ma dalla personalità molto controversa, lavorò come allieva di Auguste Rodin nel suo primo periodo di pratica scultorea, attività che lei adorava e perseguiva con una costanza e una testardaggine molto singolari. In quanto allieva, studiò e si operò a imitare al meglio lo stile del maestro, occupandosi anche della modellazione di alcuni particolari anatomici delle sculture di Rodin (mani e piedi), come si usava fare in tali apprendistati. La condivisione del mestiere andò però oltre, perché Rodin vi scoprì subito quel genio e quell’entusiasmo che lo portarono a riversare su di lei tutte le sue attenzioni, e ben presto anche un’intensa passione.
L’affinità artistica e sentimentale li vide lavorare insieme a più parti delle figure: la mano di Camille si confuse con quella di Rodin in alcune sculture, fino addirittura a creare opere - come Tête de rieur (Testa che ride) - che recano la firma di entrambi.
In questo primo periodo della loro frequentazione, i due artisti diedero prova di un’energia creativa sorprendente, che si alimentava l’uno dall’altra. Rodin introdusse il tema della coppia e della figura femminile, con tematiche fortemente sensuali in L’eterna primavera e La Danaide.
In altre occasioni le opere di Camille vennero riprese da Rodin nella gestualità e nei sentimenti rappresentati.
La coppia della giovane artista Sacountala, ad esempio, raffigura l’abbraccio di ricongiunzione tra due sposi dopo una lunga separazione provocata da un maleficio. Ne traspare quindi uno scambio di suppliche e di perdono: l’uomo implora la donna in ginocchio e la abbraccia. Molte sono le analogie con il noto L’idolo eterno di Rodin, successivo.
Sacountala di Camille Claudel, in marmo ribattezzata
Vertumne et Pomone (1886)
e L'idolo eterno di Auguste Rodin (1888)
Lo scultore, già avanti con gli anni, trovò in questa allieva una forte condivisione di passioni: artistiche, intellettuali e sentimentali. Non vi è paragone con il tiepido rapporto che intrattenne con Rose Beuret, conosciuta vent’anni prima, e con la quale convisse fino alla fine della sua vita. Rose era di fatto colei che si occupava del ménage famigliare e che manteneva in ordine l’atelier dello scultore. Nonostante godesse di una considerazione molto più spiccata, la giovane Camille non si mostrò mai soddisfatta di questa relazione ambigua e insistette a lungo inutilmente per ottenere l’esclusività del rapporto d’amore. A un primo periodo di unione forte e idilliaca, seguirono quindi feroci critiche e litigi che portarono Camille all’allontanamento sofferto ma definitivo da Rodin.
Nelle ultime opere Rodin mostrò di essere ancora legato all’immagine di Camille, raffigurata come fragile creatura che emerge dal marmo in L’addio.
Camille ci ha lasciato l'opera a tre figure L’âge mûr (La maturità), in cui un anziano Rodin viene allontanato dalla personificazione della vecchiaia, mentre la giovane artista cerca di trattenerlo implorante.
NOTE E RIF. BIBL:
(1) Auguste Rodin, L’Arte. Conversazioni raccolte da Paul Gsell, a cura di Luca Quattrocchi, Abscondita, 2003 (cit. pag. 10)
(2) vedi nota 1 (cit. pag. 30)
(3) Tematiche tratte dal testo di Hélène Pinet e Reine-Marie Paris, Camille Claudel. Le génie est comme un miroir, Gallimard, Parigi, 2003