di Francesca Desiderio
A sud del Paese, all'altezza dell’Equatore, l’essenza dell’Africa selvaggia abita i parchi e le riserve naturali.
I Big Five (elefante, rinoceronte, bufalo, leone e leopardo), le prede più ambite dalla fotocamera del turista, popolano le praterie sconfinate del Masai Mara, collinose, verdi e macchiate da arbusti e acacie, umide e piovose nella stagione di passaggio tra l’inverno e l’estate; oppure l’Amboseli arido e polveroso, a valle del Kilimangiaro, con pozze d’acqua improvvise in cui vivono pitoni e sguazzano ippopotami ed elefanti. Aquile, pellicani, fenicotteri, aironi e giganteschi marabù affollano aree lacustri come il lago Nakuru. Furbi cercopitechi e babbuini urlatori si avvicinano ai lodge e ai campi tendati in cerca di facile cibo. Tutti timidi o abituati ai veicoli che portano persone, pur sempre selvaggi e temibili, aggressivi e meravigliosi. Da ammirare a debita distanza. Veloci nella corsa e nell’istinto, durante il giorno pascolano sparsi e disseminati, quasi stanchi e annoiati. Ogni tanto uno spostamento in massa di gnu e zebre, un leone in corsa. Una famiglia di leoni riposa all’ombra di arbusti. Il ghepardo solitario vigila sul territorio, lo sciacallo e la iena stanno all’erta fiutando scenari di caccia. Al crepuscolo e la sera si alzano le zanzare; la sera, i versi di volatili e di scimmie. Al risveglio, l’ululato delle iene appena fuori dal lodge fa gelare il sangue. E la luce del giorno, una volta dissoltasi l’umidità notturna, rassicura della pace circostante in questo deserto di vita.
Albe e tramonti di cielo fuoco, colline rocciose, terra ferrosa rossa e nera di origine vulcanica e fronde verdi allo Tsavo, dove le urla acute dei babbuini lacerano un silenzio vastissimo. Un leopardo attraversa un sentiero, forse a caccia, ma ha l’aria stanca. In meno di un quarto d’ora il sole tramonta accendendo l’azzurro del cielo sopra l’arancio del sole e il rosso ferro della ferra. Le strade sterrate e polverose si fanno pericolose nel buio che scende veloce. Nell’oscurità, a versi e grida non corrispondono più musi e ci si affretta a ripartire.
Al di fuori dei parchi, la popolazione vive in villaggi sparsi, in abitazioni in lamiera o mattoni o fango lungo le poche strade che collegano le città principali, Nairobi, Mombasa, Nakuru, Malindi. Commerci di prodotti della terra, soprattutto, ovunque si vada. E terra, polvere, animali. Come se si vivesse alla giornata. Campi coltivati interrotti da baobab, da distese desertiche, dove ogni tanto pascolano animali domati da allevatori. Bimbi in divisa e rigorosamente rapati corrono verso bassi edifici in muratura: le scuole. Donne dai colori sgargianti portano pesi sulla testa, uomini in bicicletta si assembrano lungo le strade, dove si susseguono ravvicinati bar, farmacie, officine meccaniche, hotel, tutti uguali e indistinti, tutti come resti di abitazioni, con insegne dipinte sui muri, dove gli spiazzi antistanti non sono che polvere ed escrementi di animali.
Lamu, isola a nord di Mombasa e fuori dalle rotte turistiche più scontate, è l’incontro tra cultura swahili e cultura araba. Il kenioti lo considerano un paradiso. Qui si pesca e si traghettano gli stranieri in visita, non si coltiva e non si alleva. Segni forti di un’occupazione arabo-islamica sono i burqa indossati dalle donne di colore, i vicoletti e le abitazioni coi loro androni come patii e i loro portoni pesanti. Ma la convivenza con i kenioti cristiani è pacifica, a differenza di Mombasa. Si veste all’occidentale o con lunghe tuniche arabe, si venera il Dio cristiano o Allah.
Vecchie case coloniali inglesi si affacciano sulla banchina, dove barche di legno, dall’aspetto precario, sono lasciate alla mercé delle maree. Le poche strade lastricate e le case in fango, sabbia e scheletri di corallo ospitano i ricchi del posto. Poco contano gli scarichi fognari a cielo aperto che corrono ai lati delle stradine strette o gli escrementi di asino. Feci, rifiuti, avanzi di cibo, scarafaggi e terra e si cammina anche a piedi nudi, ma con passo deciso e sguardo fiero. Sorrisi e strette di mano sono allungati ai pochi turisti bianchi, oppure si riserva loro indifferenza, nella preoccupazione per i propri affari. Mercato di frutta, cereali e legumi in compagnia di insetti e sporcizia, nei banchetti di legno e cenci. Stracci, paglia, tanfi e miasmi accentuati dal calore del giorno provocano repulsione. Ma tutto è pacifico. Ti diranno sempre pole pole (con calma) e hakuna matata (non c’è problema), con una cordialità sempre rispettosa, non invadente e mai insistente.
Poco distante, la spiaggia deserta Shela, alle cui spalle sta il paese più ricco, con case di europei benestanti in architettura locale: alte mura dalle linee verticali, nessuna decorazione e bianco brillante dei coralli usati come mattoni. Di fronte, l’isola di Manda, protetta da barriere di mangrovie.
Fieri di questa ricchezza e di questa pace, a Lamu ti serviranno e ti congederanno col sorriso. Ti dispiacerà partire e lasciare bagni scrostati e rubinetti arrugginiti, zanzariere bucate e strette di mano a chiunque te le porga. Lascerai qui la consapevolezza dei problemi concreti della vita, per quanto gli abitanti di Lamu di problemi non ne vedano. I kenioti, gente dignitosa e fiera del proprio Paese.
Da alcune settimane l’arcipelago di Lamu è sconsigliato ai viaggiatori dai Ministeri degli Esteri d’Europa a causa della vicinanza con il confine somalo e delle crescenti incursioni di rapitori somali (si ricordano quelle dell’11 settembre e del 1° ottobre scorsi). La polizia keniota si sta mobilitando per cercare di risolvere la situazione, contrastando le milizie dell’insorgenza islamista note come Al Shabaab, che rischiano di compromettere la vita pacifica della zona.