giovedì 2 giugno 2011

Belle Époque. Riflessioni sull’arte tra il 1880 e il 1915

di Francesca Desiderio

Sul finire dell’Ottocento, quando l’Europa vive i primi traguardi dell’era industriale in termini di benessere materiale, l’arte applicata si interroga sulla propria missione e funzione pratica. L’epoca è segnata da un crescente imbruttimento delle manifatture, del paesaggio urbano e dalla perdita di senso estetico, nell’appiattimento minaccioso della produzione in serie. Accanto alle correnti artistiche di accademia, prodotte dall’élite culturale, nasce quindi un nuovo approccio alle arti e all’artigianato, meno nobile ma più a uso e consumo della società, per recuperare le belle forme e restituire prestigio anche ai mestieri artigianali dell’età preindustriale. È l’origine del Modernismo.
In principio, verso gli anni Ottanta, la prima avanguardia modernista trae grande ispirazione dal popolo. L’interesse per le condizioni misere delle classi lavoratrici induce a guardare a epoche del passato, quando i mestieri più umili e l’artigianato costituivano l’anima della società. Già il Naturalismo e il Verismo avevano guardato al popolo dei lavoratori, contadini e operai. Si diffondono sempre più idee socialiste, apprezzate anche dalle élite artistiche – le stesse che, contrarie al senso del pratico e del concreto espresso dal Positivismo materialista, stavano dando i natali al Decadentismo e al Simbolismo.
Fucina dei primi prodotti artistici di forte matrice ideologica è l’Inghilterra, scenario della Rivoluzione industriale e delle prime trasformazioni sociali e di costume. Nel 1884, sulla scia dell’insegnamento di Ruskin e dei Pre-Raffaelliti, fautori di un revival neomedioevale e romantico, William Morris caldeggia il recupero dei valori del Medioevo contadino, modello di una società più pura, per ispirare così la produzione di arti applicate alla quotidianità; bello e utile devono fondersi, anche nell’impiego di materiali inconsueti nell’arte (ceramica, vetro, ferro, cemento). Morris dà quindi vita alla Arts and Crafts Exhibition Society, con l’obiettivo di produrre un artigianato dal gusto artistico e restituire ai costumi una morale.
Il connubio tra senso estetico e utilità sociale sembra essere raggiunto con l’Art Nouveau, arte non accademica che unisce tecnologie e ornamenti artigianali nell’arredamento, nell’architettura e nell’oggettistica. Il nuovo stile si diffonde in tutta Europa con il nome di Modern Style (Inghilterra), Art Nouveau (Francia), Modernismo (Spagna), Liberty (Italia, dal nome del commerciante inglese di mobili che aveva diffuso per primo un nuovo gusto), Jugendstil (Germania), Sezessionstil (Austria), per assumere in ciascun paese connotazioni proprie. Il movimento si caratterizza per la determinante propensione al decorativismo, basato su elementi floreali, curvilinei, fitomorfi, di ispirazione orientale. Geometrie sinuose impreziosiscono la disparata oggettistica di uso quotidiano realizzata in materiali più diversi.



Manifesto pubblicitario di Alphonse Mucha

Contemporaneamente all’Art Nouveau, l’arte “colta”, più intellettuale e accademica, appare in contrasto con tanta – se pur relativa – democratizzazione e sviluppa un atteggiamento parallelo, inquieto, privo di ottimismo e alla ricerca di valori nascosti, non evidenti nella quotidianità, più alti: è questa l’essenza del Decadentismo e del Simbolismo. Conclusesi le parabole realista e impressionista, l’artista d’élite va ora alla ricerca di corrispondenze tra suoni, colori, forme e sensazioni, una ricerca all’insegna della soggettività, che lascia risultati in opere che ritraggono l’illusione o i significati.
Nei primi anni del Novecento, l’Art Nouveau fa i conti con una realtà inattesa: l’arte concepita per il popolo si scopre destinata alla sola borghesia. Gli oggetti non sono a buon mercato, data la fattura preziosa, e sono pochi coloro che possono accedervi. Inoltre, ha sovraccaricato l’artigianato di ornamenti e si è appesantita, quando i modelli estetici della società moderna si ispirano al dinamismo, alla velocità. L’anelito alla semplificazione delle forme caratterizza così le avanguardie di inizio Novecento: in contrasto tanto con i modernisti quanto con la tradizione, si cerca l’astrazione, l’enfasi delle forme e dei colori a prescindere dai contenuti. Nascono il Fauvismo (1905), il Cubismo (1907), il Futurismo (1909), sino al limite estremo dell’Astrattismo (1910).
È in quest’epoca per tutti nota come Belle Époque che si crea così la rottura definitiva tra pubblico e arte. Il pubblico non riesce più a seguire gli intellettualismi degli artisti. L’unica avanguardia in grado di essere capita è il cinema, che sarà sviluppato come intrattenimento di massa e mezzo di propaganda negli anni a venire.
Con la prima guerra mondiale si sopisce quella straordinaria euforia creativa che nel passaggio di secolo ha segnato tutte le arti, dalla pittura alla musica, dalla letteratura all’architettura, quale espressione della volontà di rinnovamento all’insegna di distacco da forme e contenuti della tradizione. La Belle Époque sarebbe passata alla Storia come uno dei momenti di massima espansione artistica e culturale, oltre che tecnologica, economica e sociale. Nel bene o nel male, mai più, nel corso del Novecento, si sarebbe assistito a tanto fermento.


Riferimenti bibliografici utili:
Fahr-Becker G., Art Nouveau, Gribaudo/Könemann, Milano 2004
Hobsbawm Eric J., L’età degli imperi. 1875-1914, Laterza editore, Bari 2000
Storia dell’arte italiana, diretta da Bertelli C., Briganti G., Giuliano A., Electa/Mondadori, Milano 1992, 4 voll.; vol. IV.